domenica 3 febbraio 2008

Artù e Merlino

LA LEGGENDA DI ARTÙ
La leggenda di Re Artù è uno dei grandi misteri del medioevo. Chi di noi non ha mai sognato di poter far parte dei suoi mitici cavalieri e di intraprendere le loro eroiche imprese? Sognare è bello, eppure la realtà è un pò diversa da come potremmo immaginarla. Per prima cosa, c'è da chiarire che re Artù probabilmente non è mai esistito. Comunque, non come lo immaginiamo noi. Egli potrebbe essere solamente frutto della fantasia degli scrittori medievali, primo di tutti Chrétien de Troyes, a cui attribuiamo i primi romanzi arturiani e che visse nell'XI secolo. Compose le sue opere alla corte di Maria di Champagne e poi di Filippo di Fiandra tra il 1160 ed il 1185. A tale periodo quindi risale la genesi del "Chevalier de la Charrette", il primo romanzo in cui compare Artù e con lui, il prode Lancillotto, la bella Ginevra e l'oscuro mago Merlino. Chrétien non riuscì a terminare questo scritto, così il finale è opera di un altro scrittore del tempo, Geoffroy de Lagny. Ma Chrétien de Troyes però scrisse almeno un altro romanzo con protagonisti i cavalieri della tavola rotonda, "Perceval du le conte du graal", in cui si accentua la spiritualizzazione dell'etica cavalleresca. I cavalieri vanno qui alla ricerca del Graal, divino simbolo di rinascita, ma ancora non è la coppa che accolse il sangue di Cristo. Lo diventerà in seguito, con gli scrittori successivi che riprenderanno in mano le leggende arturiane, rimaneggiandole, riadattandole, reinterpretandole a loro piacimento. Misterioso e ancora profano con Chrétien, il Graal diventerà il sacro calice che noi tutti conosciamo nel XIII, con Robert de Baron.
Lentamente, le avventure dei cavalieri della tavola rotonda assumono una dimensione escatologica e questi eroi diventano, non solo difensori di una terra di frontiera contro gli attacchi dei barbari infedeli, ma anche garanti di un ordine cosmico. Inoltre, la chiesa, sempre più preoccupata per via della diffusione nell'occidente di questi romanzi, in cui spiccava spesso il tema dell'amore cortese, che vedeva giovani cavalieri innamorarsi di belle dame già sposate, cercava di cristianizzare ulteriormente tali opere, secondo la sua filosofia. Per questo, ad esempio, si scrisse il "Perlesvaus", un rifacimento del romanzo arturiano, in cui Lancillotto confessa il proprio peccato, Ginevra muore e i cavalieri di re Artù si fanno crociati. Qui, Perlesvaus (Perceval) diventa una specie di Cristo-cavaliere. Ed una maggiore accentuazione di questo ideale si avrà con l'elaborazione del personaggio di Galaad, novello Cristo della cavalleria, figlio di una vergine, l'unico a cui sarà concesso di vedere il Graal, ma per questo muore. Dai primi romanzi di Chrétien de Troye, il romanzo cavalleresco ne farà di strada nei secoli successivi, ispirando molti scrittori del basso medioevo e dell'età moderna, fino ai giorni nostri. Per cui, si capisce, con tutti questi rifacimenti è difficile risalire all'originale storia arturiana, a ciò che era Artù inizialmente. Il re che conosciamo noi è il risultato di tutte queste reinterpretazioni elaborate nell'arco di quasi mille anni.
Nell'ammettere l'esistenza storica di re Artù, dovremmo fare un piccolo sforzo d'immaginazione, in quanto dovremmo togliergli la brillante armatura cavalleresca e trasportarlo in un altro ambiente storico-culturale, quello dell'Inghilterra del V/VI secolo d.C. Quindi, ben cinquecento anni prima del tempo che immagineremmo noi leggendo i romanzi di Chrétien de Troyes. Non nel vero e proprio medioevo cavalleresco, ma negli ultimi attimi di vita dell'Impero Romano. Nel 476 d.C. termina il grande impero che aveva unito tutta l'Europa, sommerso dalle invasioni dei barbari, per l'esattezza Goti e popolazioni germaniche. L'imperatore Adriano, aveva esteso l'Impero fino all'estremo nord, fino alla Gran Bretagna, costruendovi il famoso Vallo proprio per arginare il pericolo costituito dagli invasori, popolazioni locali pagane. Nel V secolo ormai l'Impero non aveva più la forza di resistere e venne lentamente divorato dall'esterno, ma anche dall'interno (in quanto già da molti anni i germanici facevano parte dello stesso esercito romano, ed alcuni riuscirono anche a diventare generali). Ciò fu inevitabile. Ma alcuni soldati e generali, anche dopo il 476, non deposero le armi, continuando per qualche decennio a combattere con l'idea di ricostituire l'Impero e di proteggere la religione cristiana (che era diventata religione ufficiale dell'impero con Teodosio, nel 391). Uno di questi potrebbe essere stato proprio il nostro Artù, che resistette alle invasioni dei Sassoni e degli altri barbari, che nel V secolo stavano invadendo l'Inghilterra, divenendo così un eroe, una leggenda. In effetti, già Nennio, monaco gallese dell'800 d.C., aveva menzionato un certo re guerriero di nome Artù nella sua Historia Britonum. E secondo gli annali della Cambria, opera di anonimi del X secolo, l'anno di morte di Artù sarebbe il 537 d.C. Per questo, molti storici ritengono che alla base della leggenda ci sia un fondo di verità storica e la mitica Camelot potrebbe essere ora Cadbury Castle, dove gli archeologi scoprirono negli anni '60 le rovine di una fortezza capace di poter ospitare un migliaio di persone. Avalon, l'isola sulla quale dovrebbe ancora trovarsi il corpo del grande re, invece potrebbe essere il colle di Glastonbury Tor, nel Somerset, che in tempi antichi era quasi interamente circondato d'acqua. Il nome Artù, inoltre, potrebbe solo essere un appellativo. In passato era usuale dare ai valorosi degli appellativi per caratterizzarli ed esaltarne le qualità fisiche o guerriere. Infatti, il nome Artù potrebbe derivare da "Artorius", che nella lingua celtica voleva dire "orso". In tal senso, un guerriero così chiamato, aveva l'orso come suo "animale guida" e ne acquistava le qualità, come la forza e la grandezza. Conosciamo un signore della guerra gallese del V secolo, Owain Ddantgwyn, che veniva proprio chiamato "orso" e che fu ucciso in battaglia dal nipote, proprio quasi come nei romanzi arturiani. Oppure, potremmo anche identificare il mitico re con un certo personaggio di nome Riotamo (in celtico: "re supremo"), che nel 468 guidò le sue truppe in Gallia, ma fu tradito e sconfitto in battaglia. Ma dietro al personaggio di re Artù non c'è solo un re ed un eroe. Artù è anche un simbolo di rinascita e di vita eterna. I Normanni nell'XI secolo sconfissero i Sassoni che dominavano in Inghilterra. La corte anglo-normanna poté così attrarsi la simpatia delle popolazioni bretoni diffondendo le loro leggende, ma col rischio di risvegliare in queste il sogno di restaurazione del potere celtico, proprio fondato sul mito della "scomparsa" di Artù. Nei romanzi infatti è scritto che un giorno il grande condottiero ritornerà ancora a regnare alla testa delle sue genti. E probabilmente per sedare queste speranze, nel 1191 venne sparsa la voce del ritrovamento della sua tomba. Ciò mise infatti fine ad ogni speranza di un ritorno del re, ma nello stesso tempo, rese il personaggio ancor più popolare in Bretagna, spingendo la corte anglo-normanna a identificarsi con la corte di re Artù.


IL MAGO MERLINO
Il mago Merlino invece era il mago di corte e consigliere del re Artù. Personaggio molto misterioso e oscuro per molti versi era una sorta di Rasputin di quei tempi. Era profeta, mago, consigliere e si diceva che potesse viaggiare nel tempo. In realtà dev'essere stato un druido. I druidi erano i sacerdoti delle popolazioni celtiche che vivevano in Gallia ed in Britannia nei fino all'espansione del Cristianesimo in quelle terre. Essi praticavano la magia nei boschi, a contatto con la natura e, si dice, avevano molti poteri soprannaturali, tra cui anche quello di vedere nel futuro e rendersi invisibili. Le poche informazioni che abbiamo le troviamo sugli scritti degli scrittori latini e greci di quel periodo (II/IV secolo d.C.). Ma anche il personaggio di Merlino, così come quello del suo re, rimane ancora avvolto dalle nebbie del mistero.









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