venerdì 4 gennaio 2008

La guerra di Troia si è combattuta realmente?

La Guerra di Troia è stata una guerra combattuta tra gli achei e la potente città di Troia per il controllo dell'Ellesponto.
È ancora oggetto di studi e controversie la questione sulla veridicità storica degli avvenimenti della guerra di Troia. Alcuni studiosi pensano che vi sia un fondo di verità dietro gli scritti di Omero, altri pensano che l’antico poeta abbia voluto raggruppare diversi avvenimenti accaduti durante guerre e assedi, nel periodo Miceneo, in un unico conflitto, quello fra greci e troiani appunto.
Quelli che ritengono che la guerra di Troia sia stato un fatto realmente accaduto collocano cronologicamente i fatti verso la fine dell' età del bronzo, intorno 1300-1200 a.C., in parte confermando le ipotesi di Eratostene.

Le fonti


Gli eventi della guerra di Troia sono descritti in innumerevoli testi della letteratura greca e latina, dipinti o scolpiti in numerose opere d’arte. Nessuno scritto narra per intero i fatti del conflitto. Si assembla quindi la storia seguendo diverse fonti, spesso contraddittorie fra di loro. I testi più autorevoli sono senza dubbio l’Iliade e l’Odissea di Omero, composto intorno al nono secolo a.C. Entrambi narrano una piccola parte del conflitto, l’Iliade racconta fatti avvenuti durante l’ultimo anno di guerra, l’Odissea il viaggio di Ulisse in patria dopo la conquista della città. Gli altri avvenimenti dello scontro sono tratti dai cosiddetti Poemi del ciclo Epico: i canti Ciprii, l’Etiopide, la piccola Iliade, Iliou Persis, i Nostoi e la Telegonia. Sebbene di questi poemi sopravvivono ormai solo pochi frammenti, abbiano notizia delle trame grazie ai riferimenti di un tale Proclo. Non sappiamo se questo Proclo sia un filosofo neo-platonico del quinto secolo d.C. o un grammatico del secondo secolo, e nemmeno sappiamo ancora bene chi siano gli autori di questi poemi del ciclo epico. Alcuni datano queste opere intorno al settimo o sesto secolo a.C, poco dopo i poemi omerici da cui hanno preso spunto, sebbene si pensi che possano anche essere legati a tradizioni precedenti. I poemi di Omero e quelli del ciclo epico prendono spunto dalla tradizione orale. Anche dopo la composizione di questi testi le storie della guerra di Troia furono tramandate oralmente o in forma non poetica. Alcuni elementi narrativi trovati in alcuni testi posteriori potrebbero essere desunti proprio da questa tradizione orale. Le storie del conflitto circolavano inoltre grazie alle immagini dipinte sulle anfore o sui calici. Nei secoli successivi drammaturghi, scrittori e filosofi presero spunto dagli eventi della guerra di Troia per le loro opere. I tre grandi tragediografi ateniesi, Eschilo, Sofocle ed Euripide, scrissero molti drammi sui personaggi della guerra di Troia. Fra gli scrittori romani il più importante è senza dubbio Virgilio. Nel 2° libro dell’Eneide, descrive il sacco di Troia ispirandosi sicuramente ai fatti narrati nei poemi del ciclo epico (specialmente l’Iliou Persis). La storia che qui riportiamo segue l’ordine di eventi secondo le testimonianze di Proclo, dell’Iliade, dell’Odissea e dell’Eneide, più alcuni dettagli dedotti da altri autori.Achille aveva rapito la figlia di menerao cioe:Elena.

Le origini della guerra:

Il piano di Zeus
Come racconta la mitologia greca, Zeus è diventato re degli dei detronizzando Crono; Crono a sua volta aveva preso il posto di suo padre Urano. Memore di quanto possa essere crudele la propira progenie, non essendo fedele a sua moglie e sorella Era, avendo avuto molti figli dalle sue tante relazioni, ne aveva timore.
Inoltre Zeus capì che la Terra era troppo popolata, inizialmente voleva distruggere l'umanità con fulmini e inondazioni, poi su consiglio di Momo, il dio degli scherzi, o di Themis, decise invece di favorire il matrimonio di Tetide e Peleo, che avrebbe portato alla fine del regno degli eroi. Facendo in seguito scoppiare la guerra di Troia per diminuire la sovrappopolazione, eliminando anche gran parte dei propri figli semidei, possibili usurpatori del trono di capo degli olimpi.

Il matrimonio fra Peleo e Teti

Zeus venne a sapere da Themis o da Prometeo che un figlio avrebbe potuto detronizzarlo, proprio come lui aveva fatto col padre. Un’altra profezia aveva inoltre predetto che la ninfa Teti, con cui Zeus tentava di avere una relazione, avrebbe generato un figlio che sarebbe diventato più grande del padre. Per queste ragioni Teti sposò un re mortale molto più vecchio di lei, Peleo. Fece questo o per ordine di Zeus o perché non voleva fare uno screzio ad Era che l’aveva allevata da bambina. Tutti gli dei vennero invitati al matrimonio di Peleo e Teti eccetto Eris, la dea della discordia, che fu fermata alla porta da Hermes per ordine di Zeus stesso. Sentendosi insultata, la dea andò su tutte le furie e gettò nel bel mezzo della tavolata una mela d’oro con la scritta “Tei Kallistei” (alla più bella). Era, Atena e Afrodite pensavano spettasse loro di diritto possedere la mela e cominciarono a litigare fra di loro. Nessuno degli dei tentò di favorire con la propria opinione una delle tre dee per non inimicarsi le altre due. Zeus ordinò quindi a Hermes di condurre le tre dee da Paride, un principe troiano, ignaro della sua discendenza reale, che era stato abbandonato appena nato sul monte Ida poiché un sogno premonitore aveva profetizzato che egli sarebbe stato causa della guerra di Troia. Le dee apparvero al giovane nude e siccome Paride non era in grado di dare un giudizio, le tre divinità promisero al giudice dei doni. Atena gli offrì la saggezza, l’abilità bellica, il valore dei guerrieri più potenti, Era il potere politico e il controllo su tutta l’Asia, Afrodite l’amore della donna più bella del mondo, Elena di Sparta. Paride diede la mela ad Afrodite. Le due dee che avevano perso andarono via desiderose di vendetta. Il giovane si recò in seguito in città, a Troia, perché gli araldi di Priamo avevano portato via il suo toro migliore per darlo in premio al vincitore di alcune gare sportive organizzate dal re. Paride partecipò ai giochi atletici e sconfisse i nobili rampolli di Troia, vincendo di conseguenza il proprio toro. I giovani troiani, umiliati, volevano ucciderlo ma Cassandra, figlia preveggente del re Priamo, riconobbe in lui il fratello perduto. Priamo decise allora di accettarlo nella famiglia reale, sebbene Cassandra avesse consigliato di non farlo. Dall’unione fra Peleo e Teti nacque un bambino Achille. L’oracolo predisse che sarebbe morto o vecchio a causa della maturità in una vita tranquilla e priva di imprese, o giovane sul campo di battaglia guadagnando l’immortalità attraverso la poesia degli aedi. Teti tentò di rendere immortale il figlio. Lei provò dapprima a bruciarlo nel fuoco durante la notte per eliminare le sue parti mortali e poi a strofinarlo con ambrosia durante il giorno. Peleo, che già aveva perso sei figli in questa maniera, riuscì a fermarla. Teti lo bagnò allora sul fiume Stige facendolo diventare immortale nei punti toccati dall’acqua. Lei aveva però tenuto il piccino dal tallone che rimase la sua unica parte vulnerabile, da qui la frase “tallone d’Achille”, per indicare il punto debole di un persona.

La fuga di Paride ed Elena

La più bella donna del mondo era Elena, una delle figlie di Tindaro, re di Sparta. Sua madre era Leda che venne sedotta o stuprata da Zeus sotto forma di cigno. Leda partorì così quattro gemelli, due maschi e due femmine. Castore e Clitennestra erano figli di Tindaro, Elena e Polluce di Zeus. Secondo un’altra versione del mito, Elena era figlia di Nemesi, la vendetta. Quando giunse in età da marito Elena attirò alla corte del padre una moltitudine di pretendenti desiderosi di prenderla in sposa. Tindaro non sapeva chi scegliere per non offendere così gli altri. Infine uno dei pretendenti, Ulisse, propose un piano per risolvere il dilemma, in cambio dell’appoggio di Tindaro per farlo sposare con la nipote Penelope, figlia del fratello di lui Icario. Elena avrebbe dovuto scegliere il marito. Secondo un’altra tradizione Ulisse propose di fare un sorteggio o secondo un’altra, più accreditata, era il padre a scegliere il marito per la sposa (come farà poi Agamennone per ingannare Ifigenia e portarla in Aulide). Vennero inoltre costretti tutti i pretendenti a giurare di difendere il matrimonio di Elena, per chiunque marito venisse scelto. I giovani giurarono sacrificando i resti di un cavallo. Di certo non mancarono i borbotti di alcuni. Venne scelto come marito Menelao. Quest’ultimo non si era presentato come pretendente alla reggia ma aveva mandato il fratello Agamennone in suo nome. Aveva promesso un’ecatombe di 100 buoi ad Afrodite se avesse avuto in moglie Elena ma, non appena seppe di essere lui il prescelto, dimenticò la promessa fatta, causando l’ira della dea. Agamennone e Menelao vivevano in quel periodo alla corte di Tindaro perché esiliati da Micene, loro terra natia, dallo zio Tieste e dal cugino Egisto, dopo la morte del padre Atreo, ucciso dallo stesso Tieste. Menelao ereditò dunque il trono di Sparta da Tindaro poiché gli unici suoi figli maschi, Castore e Polluce, erano stati assunti fra le divinità. Agamennone sposò in seguito Clitemnestra, sorella di Elena, e scacciò Egisto e Tieste da Micene, riprendendosi così il trono del padre. Durante una missione diplomatica (il recupero della zia Esione rapita da Ercole) Paride si recò a Sparta e si innamorò della bella Elena. Enea, nobile figlio di Afrodite e Anchise, re dei Dardani, accompagnava Paride. Durante il loro soggiorno a Sparta, Menelao dovette recarsi a Creta per i funerali di Catreo, lo zio. Paride, sotto influsso di Afrodite, riuscì a sedurre Elena e a partire con lei verso Troia, portando con sé il ricco tesoro di Menelao. Era, ancora adirata con Paride mandò contro di lui una tempesta, costringendolo a sbarcare in Egitto, dove, secondo Stesicoro, Elena fu sostituita da Nefele, un fantasma con le sue sembianze. Secondo Omero Elena giunse in carne e ossa a Troia, non vi è traccia di alcun finto fantasma. La nave giunse poi a Sidone prima di giungere a Troia. Lì Paride, timoroso di essere catturato da Menelao, perse diverso tempo prima di tornare in patria. Il rapimento di donne non è una storia nuova nella mitologia classica. Ricordiamo Io, rapita da Zeus e trasformata in mucca, Europa, portata via dalla Fenicia e condotta a Creta, Esione, sorella di Priamo, rapita da Ercole ai tempi del re Laomedonte e consegnata a Telamone, re di Salamina, Medea, fuggita insieme a Giasone dalla Colchide. Tutte queste donne erano però orientali portate in Grecia, forse questa volta Paride volle ricambiare portandosi in Oriente una donna greca.

L’adunata in Aulide

Menelao, tornato a Sparta e scoperto l’inganno, chiese ad Agamennone di ricorrere al giuramento fatto dai pretendenti in onore di Elena per radunare un esercito ed attaccare i troiani. Agamennone fu d’accordo e mandò il saggio Nestore, re di Pilo, insieme a molti emissari in tutta la Grecia per richiamare i principi e ricordare loro il giuramento fatto.

Odisseo e Achille
Odisseo qualche tempo prima si era sposato con Penelope da cui aveva avuto un figlio, Telemaco. Per evitare la guerra si finse pazzo e cominciò a seminare sale per i campi. Palamede, il re di Nauplia, mandato ad Itaca per convincerlo, uomo di ingegno arguto, prese il piccolo Telemaco e lo posizionò nel solco su cui avrebbe dovuto passare Odisseo che, non volendo uccidere il figlio, girò da un’altra parte, rivelando però così di essere ancora sano di mente e di certo pronto per partecipare alla guerra. Achille invece era stato nascosto dalla madre a Sciro, mascherato con abiti femminili per non farlo riconoscere agli araldi mandati da Agamennone. Lì Achille ebbe una relazione con Deidamia, figlia del re, e da questa unione nacque Neottolemo, detto anche Pirro (il biondo). Aiace Telamonio, cugino di Achille, il suo vecchio precettore Fenice e soprattutto Ulisse, travestiti da mercanti, (secondo altri vi era solo Ulisse, o Ulisse e Diomede) si recarono nella reggia di Sciro per scovare il giovane figlio di Peleo. Vi sono due tradizioni sul riconoscimento dell’eroe. Secondo la prima tradizione Ulisse suonò un corno, chiaro segno di un attacco nemico, ed Achille, anziché fuggire come fecero le figlie del re, afferrò una lancia per affrontare i nemici e venne riconosciuto. Nella seconda tradizione, la più famosa, Ulisse portava con sé un cesto con degli ornamenti femminili e una spada bellissima. Achille non osservò i gioielli ma guardò la stupenda arma e per questo venne scoperto da Ulisse e condotto al campo acheo. Secondo Pausania Achille non si nascose a Sciro perché l’isola venne poi conquistata durante la guerra di Troia dal Pelide stesso. Le forze Achee si radunarono dunque nel porto di Aulide, in Beozia. Tutti i pretendenti spedirono i propri eserciti eccetto re Cinira di Cipro. Sebbene lui spedì corazze ad Agamennone, come stabilito, al posto di spedire le cinquanta navi promesse ne spedì soltanto una vera, mentre le altre erano di fango. Idomeneo, re di Creta, invece era disposto a schierare l’esercito cretese solo a patto che avesse potuto condurre con sé un vice comandante, il nipote Merione. L’ultimo comandante ad arrivare fu Achille, che allora aveva soltanto quindici anni. Mentre i re sacrificavano ad Apollo per garantire il proprio giuramento, un serpente divorò gli otto piccoli di un nido di passeri e in seguito mangiò anche la madre. Secondo Calcante questo evento era un responso divino, la guerra sarebbe durata per dieci anni.

Telefo
Le navi sbarcarono ma nessuno sapeva come giungere a Troia. Ci fu dunque un errore di rotta e gli Achei sbarcarono per sbaglio in Misia, dove regnava Telefo, figlio di Ercole, che disponeva oltre degli uomini di Misia anche di un contingente dall’Arcadia, proveniva infatti da questa regione. Durante la battaglia i greci riuscirono a conquistare Teatrante, capitale del regno, e Achille, con la sua lancia, ferì Telefo, che già aveva ucciso Tersandro, re di Tebe. Salvatosi dallo scontro Telefo si recò a Delfi per sapere come poter guarire dalla ferita causatagli dal Pelide che non intendeva rimarginarsi e provocava terribili dolori. L’oracolo rispose che lo stesso feritore l’avrebbe guarito. La flotta achea tornò dunque in Grecia. Achille partì verso Sciro e sposò Deidamia. Le forze greche furono radunata un’altra volta. Telefo si recò in Aulide, travestito da mercante, e chiese ad Agamennone di poter essere guarito o, secondo un’altra tradizione, prese in ostaggio il piccolo Oreste, figlio del re di Micene. Achille rifiutò perché non sapeva come fare a guarirlo. Odisseo che sarebbe stata la lancia stessa a guarirlo. Pezzi di lancia furono raschiati e passati sulla ferita, rimarginandola. Telefo in seguito avrebbe mostrato agli Achei come giungere a Troia.

Il secondo raduno

Mappa della Grecia omerica.
Otto anni dopo lo sbarco in Misia gli eserciti greci furono ancora radunati. Ma non appena le navi giunsero in Aulide il vento cessò di soffiare. Calcante profetizzò che Artemide era offesa con Agamennone perché questi aveva ucciso un cervo sacro o perché lo aveva ucciso in bosco sacro dicendo di essere miglior cacciatore di lei. L’unico modo di placare Artemide era sacrificare Ifigenia, figlia di Agamennone e Clitennestra o di Elena e Teseo, affidata alla sorella dopo il matrimonio con Menelao. Agamennone rifiutò la proposta ma gli altri principi minacciarono di fare comandante Palamede se Agamennone non avesse avuto il coraggio di uccidere la figlia. Fu costretto ad accettare e richiamò la figlia e la moglie in Aulide col pretesto di voler far sposare Ifigenia con Achille. In un impeto di amore paterno Agamennone mandò una lettera alla moglie, ordinandole di rimare a Micene, poiché quella era una trappola ma il messaggio venne intercettato da Ulisse (o da Palamede) che non la spedirono a destinazione. Ulisse e Diomede vennero mandati a Micene per condurre lì la giovane e la famiglia di Agamennone. Clitemnestra venne però a sapere dell’inganno grazie ad Achille. Questi promise inoltre il suo ma Ulisse riuscì a sobillare l’esercito chiedendo il sacrificio. Ifigenia, in uno slancio patriottico, decise allora di sacrificarsi per il bene della Grecia. La giovane secondo una prima tradizione morì per il sacrificio, secondo un’altra, quella utilizzata da Euripide, fu scambiata con una cerva da Artemide stessa che la portò in Tauride, designandola come sua sacerdotessa.
Le forze greche sono descritte in dettaglio nel secondo capitolo, il cosiddetto “Catalogo delle navi”. Erano divisi in 28 schieramenti, provenienti da tutta la Grecia, il Peloponneso, le isole di Creta e Itaca. Comprendeva 1178 navi con 50 rematori circa. Tucidide spiega che secondo la tradizione erano approssimativamente 1200 navi, con un numero di uomini variabile, vi era chi infatti come i Beoti aveva navi con 120 uomini, chi, come Filottete, soltanto cinquanta. Le forze greche andavano quindi da un minimo di 70000 a un massimo di 130000 uomini. Un altro catalogo viene dato da Apollodoro che differisce su qualcosa ma è simile ad Omero nella suddivisione numerale. Alcuni pensano che Omero abbia preso spunto da reali documenti provenienti dall’età del bronzo, altri pensano che abbia inventato tutto di sana pianta. Vengono anche descritti gli schieramenti troiani. Non sappiamo quale lingua parlavano i troiani. Omero spiega che i contingenti alleati di troia parlavano lingue straniere, i comandanti in seguito traducevano gli ordini. Nell’Iliade inoltre troiani ed Achei hanno stessi usi, stessi costumi e stessa religione. Gli avversari parlano inoltre la stessa lingua, probabilmente un effetto di tipo drammatico.

Nove anni di guerra:

Filottete
Filottete era amico di Eracle e poiché accese per lui la pira funebre, incarico che tutti avevano rifiutato, ricevette dall’eroe l’arco e le invincibili frecce intinte nel sangue dell’idra di lerna. Lui navigò verso Troia con sette navi. I suoi uomini si fermarono in seguito a Crise per fare rifornimenti o da soli o insieme al resto dell’esercito. Filottete venne in quell’occasione morso da un serpente. La ferita divenne infetta, emanando un cattivo odore. Odisseo avvisò Agamennone dell’accaduto e l’Atride, a causa del puzzo emanato dalla ferita, ordinò che l’eroe venisse abbandonato sull’isola di Lemno. Medone, fratellastro di Aiace Oileo, prese il controllo degli uomini di Filottete. Sbarcati a Tenedo, isola di fronte il lido di Troia, la attaccarono. La città venne difesa dal suo regnante Tenete, figlio di Apollo (secondo altri solo un suo protetto, il vero padre era Cicno). Achille depredò Tenedo e tentò di catturare Emitea, sorella di Tenete che, disperata, chiese agli dei di poter essere inghiottita dalla terra. E così avvenne. Teti ordinò al figlio di non uccidere Tenete per non incorrere nell’ira del dio ma fece troppo tardi, Tenete era già stato ucciso dal Pelide. Da quel giorno Apollo tentò in tutti i modi di ucciderlo e infatti, quando Paride lo ucciderà, sarà Apollo a dirigere la sua freccia nel tallone. Da Tenedo venne poi spedita una delegazione a Priamo, formata da Menelao, Odisseo e Palamede per chiedere la restituzione di Elena. Ma le loro proposte furono rifiutate. Filottete rimase così per dieci anni su Lemno, un’isola che, secondo quanto dice Sofocle nel “Filottete” era deserta, ma secondo la tradizione era popolata dai Minii.

L’arrivo
Calcante profetizzò che il primo acheo a toccare la terra troiana dopo essere sbarcato con la sua nave sarebbe morto. Quindi Achille esitò a sbarcare. Infine Protesilao, re di Filache, sbarcò per primo. Achille scese dalla nave dopo di lui e uccise Cicno, un figlio di Poseidone. I troiani fuggirono allora nella sicurezza delle proprie mura. Protesilao dimostrò coraggio e valore, uccidendo diversi troiani ma trovò, primo fra tutti, la morte per mano di Ettore, Enea, Acate o Euforbo (le tradizioni divergono su questo punto). Gli dei lo seppellirono come un dio sulla penisola Tracia, una regione della Troade. Dopo la morte di Protesilao, suo fratello Podarce guidò le truppe di Filache.

Le campagne di Achille

Gli achei assediarono Troia per nove anni. Questa parte della guerra è quella di cui abbiamo il minor numero di fonti, che preferiscono parlare principalmente degli avvenimenti dell’ultimo anno. Dopo lo sbarco iniziale l’esercito venne raggruppato di nuovo per intero soltanto nel decimo anno. Secondo Tucidide tutto ciò era derivato da una mancanza di soldi. I greci fecero scorrerie nelle città alleate di Troia ed esaurirono i profitti agricoli delle regioni della Tracia. Troia non venne mai assediata completamente in questi nove anni, aveva infatti rapporti con i popoli interni dell’Asia minore. Arrivarono infatti rinforzi fino alla fine dello scontro. Gli Achei controllavano semplicemente lo stretto dei Dardanelli, i troiani invece comunicavano attraverso il punto più corto ad Abido e Sesto, potendo così contattare i propri alleati in Europa. Achille era senza dubbio il più attivo fra gli Achei. Secondo Omero conquistò 11 città e 12 isole. Secondo Apollodoro fece scorrerie nelle terre di Enea, in Troade, derubandolo dei suoi armenti. Lui conquistò inoltre Lirnesso, Pedaso e diverse città del circondario. Uccise inoltre Troilo, giovane figlio di Priamo, quando questi aveva 19 anni. Un oracolo aveva infatti predetto che se il ragazzo avesse raggiunto il ventesimo anno di vita, la città non sarebbe crollata. Secondo Apollodoro: “Prese anche Lesbo e Focea, poi Colofonie e Smirne, e Clazomane, e Cime; e dopo Egialeo e Teno, le così chiamate cento città; poi in ordine, Adramitio e Sido; poi Endio, e Lineo, e Colono. Prese anche Tebe, in Asia minore, e Lirnesso, e infine Antandro e molte altre città” Apollodoro, epitomi 3.33” Secondo Cacride questo elenco è sbagliato perché i greci si sarebbero spinti in questa maniera troppo a sud. Altre fonti, come Demetrio, parlano di Pedaso e Monenia, Mithemna, e Pisidice. Dalla divisione del bottino di queste città Achille ottenne Briseide di Lirnesso e Agamennone ottenne Criseide, di Tebe. Achille catturò Licaone, figlio di Priamo mentre stava potando gli alberi nel frutteto del padre. Patroclo lo vendette a Lemno dove venne comprato da Eezione che lo rimandò a Troia. Verrà ucciso da Achille più tardi, dopo la morte di Patroclo.

Le campagne di Aiace e il gioco della petteia
Aiace invase le città della penisola Tracia dove regnava Polimestore, un genero di Priamo. Polimestore abbandonò Polidoro, uno dei figli di Priamo, che lui aveva in custodia. Attaccò poi le città della Frigia, dominate dal re Teleuto che morì in combattimento. Prese poi come bottino di guerra la figlia di quest’ultimo, Tecmessa. Disperse in seguito le greggi troiane sul monte Ida e nelle campagne. Diversi dipinti su anfore e coppe, descivono invece un avvenimento non riportato su testi letterari. In un determinato momento della guerra Achille e Aiace stavano giocando a un gioco denominato “petteia”-immagine. Loro furono talmente presi dal gioco che dimenticarono di essere nel bel mezzo di una battaglia. I troiani riuscirono a raggiungerli e solo un intervento di Atena riuscì a salvarli.

La morte di Palamede
Odisseo fu spedito in Tracia per recuperare del grano ma tornò a mani vuote. Sfidò poi Palamede, che l’aveva preso in giro, a fare di meglio. Palamede partì e tornò con un’intera nave piena di grano. Odisseo non aveva mai perdonato Palamede, perché quando era riuscito a condurlo in Aulide, poteva anche rischiare di far morire il piccolo Telemaco mettendolo sotto il solco dell’aratro. Odisseo allora tese contro di lui un inganno. Spiegò così il suo piano agli altri capi che, come Agamennone, odiavano le imprese di Palamede e la sua aria da sapientone. Fu contraffatta una lettere di Priamo a Palamede, Odisseo stesso costrinse uno schiavo frigio a scriverla. Fu inoltre messo dell’oro nella tenda di Palamede. La lettera e l’oro furono scoperti e Agamennone ordinò che Palamede venisse ucciso a sassate. Pausania, citando i Cypra, dice che Odisseo e Diomede affogarono Palamede mentre stava pescando, mentre Ditti scrisse che Odisseo e Diomede adescarono Palamede in un pozzo, dove dicevano che questi aveva conservato l’oro ricevuto da Priamo, e lo lapidarono fino a ucciderlo. Il padre di Palamede, Nauplio navigò verso la Troade per chiedere giustizia ma venne rifiutato. Cercando vendetta, Nauplio viaggiò verso le città greche, dicendo alle mogli dei re che presto i loro mariti avrebbero condotto in patria delle concubine per sostituirle. Alcune di esse decisero allora di tradire i propri mariti, come fece Clitemnestra, unendosi ad Egisto, il figlio di Tieste. Verso la fine del nono anno i soldati dell’esercito, stanchi di combattere e privi di approvvigionamento, decisero di ribellarsi ai propri comandanti e tornare in patria. Soltanto Achille riuscì a convincere i soldati a rimanere. Secondo Apollodoro, Agamennone rapì le quattro figlie di Anio, sacerdote di Delo, le cosiddette “Vignaiole”, in grado di far scaturire dal suolo l’olio, il grano e il vino necessari per l’approvvigionamento.

L'Iliade:

Nel campo dei Greci si diffuse però un'epidemia: era il castigo decretato da Apollo come punizione ai Greci per aver sottratto Criseide al padre Crise, sacerdote del dio. Su consiglio di Calcante, Agamennone accettò di restituire Criseide al padre ma pretese in cambio Briseide, schiava preferita di Achille, sottraendola all’eroe. Scoppiò dunque un litigio tra Achille ed Agamennone: Achille decise di non combattere più e rimanere fermo nella propria tenda. Teti, madre di Achille, salì all'Olimpo per supplicare Zeus di rendere giustizia al figlio: il dio acconsentì, subendo i rimproveri di Era, subito placati da Efesto Zeus inviò il Sogno ingannatore ad Agamennone. Nelle sembianze di Nestore fece credere al re che fosse arrivato il giorno fatale di Troia. Al risveglio Agamennone convocò i duci achei e li istruì sul suo piano. Voleva far credere all’esercito di voler tornare in patria: i soldati però accettarono esultanti la proposta di tornare e si apprestarono a lasciare la costa quando Ulisse, ispirato da Atena, li convinse a rinnovare la battaglia contro Troia. Le due schiere si affrontarono ancora: alla vista di Menelao, Paride fuggì tra i suoi, ma Ettore lo rimproverò per la sua codardia. Paride decise di affrontare a duello Menelao: le sorti del duello sarebbero state decisive per la guerra. Dopo aver sacrificato agli dei, i contendenti si scontrarono: Menelao era sul punto di uccidere il rivale quando Afrodite lo salvò e lo riportò a Troia. Agamennone decretò la vittoria per il fratello. Gli dei erano radunati attorno a Zeus che avrebbe voluto salvare Troia, fu Era però a convincere gli altri dei a chiedere la continuazione della guerra. Zeus allora inviò Atena tra i troiani; ella invitò Pandaro a scagliare una freccia contro Menelao. La freccia ferì l'Atride e la battaglia si rianimò.Pandaro ferì Diomede con una freccia, ma questi, aiutato da Atena, riuscì a uccidere il troiano; stava per uccidere anche Enea quando intervenne Afrodite che salvò il figlio e venne a sua volta ferita da Diomede. Intanto i Troiani, guidati da Ares, stavano avendo la meglio. Diomede, sempre con l’aiuto di Minerva, si scontrò con Ares e lo ferì. Le sorti della battaglia volgevano a favore dei Greci. Ettore chiese di poter affrontare un campione greco. Dopo alcune discussioni ecco apparire il gigantesco Aiace Telamonio. Il duello si concluse con una tregua, voluta da due ambasciatori, per ordine di Zeus. Il mattino dopo la battagli ricominciò. I greci, incalzati da Ettore, vennero spinti sempre più verso il proprio accampamento. Col tramonto del sole si conclusero le battaglie. Ettore e i suoi uomini fecero un accampamento proprio in mezzo al campo di battaglia, spingendo così sempre più i greci verso il mare. Al mattino ricominciò la battaglia. Ettore e gli altri comandanti si scagliarono contro il muro di cinta che proteggeva le navi. I greci spaventati cominciavano a fuggire, soltanto i comandanti più eroici, come i due Aiaci o Idomeneo, incitavano ancora le truppe a difendersi. I troiani, guidati da Ettore, e i lici, guidati da Sarpedonte, riuscirono perfino a far breccia nel muro di cinta greco e ad entrare all’interno dell’accampamento. Con una torcia in mano, Ettore riuscì perfino a incendiare una delle navi greche. Patroclo, fedele compagno di Achille, vedendo la battaglia infuriare all’interno del campo greco, supplicò l’amico di concedergli di prendere le sue armi e condurre i Mirmidoni al fianco degli altri Achei. Achille accettò, ma raccomandò a Patroclo di limitarsi a cacciare i nemici dal campo greco, senza andare oltre. Nel frattempo i Troiani erano riusciti a dar fuoco alla nave di Protesilao, ma l'arrivo dei Mirmidoni guidati da Patroclo, che essi credevano Achille, li mise in fuga. Patroclo li incalzò fin sotto le mura: gli si oppose Sarpedonte, il comandante dei lici, figlio di Zeus. Il padre degli dei avrebbe voluto salvare il figlio, ma Era gli vietò di opporsi al destino: Sarpedonte inevitabilmente cadde sotto i colpi di Patroclo, Zeus poté solo limitarsi a trasportare il corpo in Licia, terra nativa dell’eroe. Era però giunta l’ora di Patroclo: Apollo con un gran colpo lo stordì, Euforbo lo colpì con la lancia, ma non era abbastanza valoroso per ucciderlo: fu Ettore che diede il colpo finale. Morendo, Patroclo predisse la prossima morte di Ettore, il quale si impossessò delle armi del morto. Vedendo arrivare il cadavere del fedele amico, Achille si rinchiuse nel proprio furore, decise di raccordarsi con Agamennone e di tornare a combattere, armato con le armi forgiate da Efesto. Ripieno di ira si scagliò contro i troiani che spaventati fuggirono, chi correndo verso le mura, chi gettandosi nel fiume Scamandro. Achille non ebbe pietà per nessuno e uccise la maggior parte dei nemici, anche chi spaventato lo supplicava. I Troiani si precipitarono all'interno delle mura, eccetto Ettore che rimase davanti alle Porte scee, bloccato dal suo destino; a nulla valevano i disperati richiami dei genitori. Ettore propose ad Achille il giuramento di rendere alla famiglia il corpo di quello dei due che verrebbe ucciso, ma il Pelide rifiutò rabbiosamente. Il duello iniziò, le lance volarono senza successo, e nel corpo a corpo Achille trafisse Ettore nel solo punto scoperto, tra il collo e la spalla. Morendo, Ettore presagì la prossima morte del rivale; Achille, accecato dall’odio, forò i piedi del cadavere e legò il cadavere dell’avversario sul proprio cocchio, facendone orribile scempio. Priamo chiese infine ad Achille il corpo del figlio. L’Iliade si conclude con i funerali di Ettore.


La morte di Achille

Poco dopo la morte di Ettore, Pentesilea, regina delle Amazzoni, venne a Troia col suo esercito. Pentesilea, figlia di Ortrera e di Ares aveva ucciso accidentalmente la sorella Ippolita. Venne purificata per questa azione da Priamo e in cambio lottò per lui e uccise molti greci, incluso Macaone (secondo alcuni Macaone verrà poi ucciso da Euripilo, figlio di Telefo) e, secondo un’altra versione, anche Achille, che venne poi riesumato per ordine di Teti. Pentesilea venne poi uccisa da Achille che, dopo averla uccisa, si innamorò della sua bellezza. Tersite, un soldato semplice, derise Achille per questo suo amore e scanalò fuori gli occhi di Pentesilea. Achille uccise Tersite e, in seguito a una disputa, navigò verso Lesbo per farsi purificare. Venne purificato per il suo assassinio da Odisseo, sacrificando ad Apollo, Artemide e Latona. Mentre andavano via, Memnone, re d’Etiopia, figlio di Titone ed Eos venne col suo esercito ad aiutare lo zio Priamo. Lui non venne direttamente dall’Etiopia ma da Susa, in Persia, conquistando tutte le popolazioni fra Troia e la Persia. Condusse così in Troade un esercito formato da etiopi e indiani. Indossava una corazza forgiata da Efesto, proprio come Achille. Nella battaglia che ne seguì, Memnone uccise Antiloco che si fece colpire per salvare il padre Nestore. Achille affrontò Memnone a duello. Zeus pesò il fato dei due eroi, vinse Achille che uccise così l’avversario. Il Pelide inseguì poi i troiani fino in città. Gli dei, vedendo come Achille aveva già sterminato gran parte dei loro figli, decisero che questa volta era il suo turno. Venne ucciso infatti da una freccia mandata contro di lui da Paride e guidata da Apollo. Secondo un’altra versione venne ucciso da una coltellata mentre sposava Polissena, figlia di Priamo, nel tempio di Apollo, il luogo dove qualche anno prima aveva ucciso Troilo. Entrambe le versioni mostrano come la morte del grande guerriero sia totalmente ingloriosa, Achille era infatti invincibile sul campo di battaglia. Le sue ossa furono mescolate a quelle di Patroclo, furono tenuti giochi in suo onore. Dopo la morte, come Aiace, visse nell’isola di Leuco dove sposò l’anima di Elena.

Dopo l'Iliade:

Aiace si prepara per il suicidio.
Dopo la morte di Achille si tenne una grande battaglia per recuperare il corpo dell’eroe. Aiace riuscì a distrarre i troiani mentre Odisseo trasportò via la salma. I generali decisero che l’armatura di Achille sarebbe spettata al guerriero più valoroso. Si fecero dunque avanti Aiace e Odisseo, che avevano recuperato il corpo di Achille. Agamennone, non essendo disposto a fare una scelta così difficile, chiese ai prigionieri troiani chi fra i due aveva causato più danni per la loro città. Secondo consiglio di Nestore vennero mandate delle spie all’interno di Troia per sapere cosa commentavano i troiani sulla battaglia avvenuta poco prima e sul valore di coloro che erano riusciti a recuperare il corpo del Pelide. Una giovane disse che fu Aiace il migliore ma un altro, sotto consiglio di Atena, protettrice di Odisseo, diede il voto migliore al favorito. Secondo Pindaro la decisione fu presa attraverso una decisione segreta dei principi achei. Comunque sia, in tutte le versioni, le armi vennero date ad Odisseo. Aiace, impazzito per il dolore, decise di uccidere i giudici di gara ma, per colpa di Atena, scambiò i generali per degli armenti che vennero sterminati. Nella sua furia, scannò due arieti, credendo fossero Agamennone e Menelao. All’alba lui tornò alla normalità e si accorse dell’accaduto. Si uccise allora per il disonore, trafiggendosi con la spada che gli aveva donato Ettore. La spada colpì il fianco o l’ascella, ritenuta da alcuni come il suo unico punto debole. Secondo un’altra tradizione, molto più antica, i troiani lo ricoprirono di creta, costringendolo così all’immobilità e condannandolo a morire di fame.

Le profezie di Eleno
Nel decimo anno di guerra fu profetizzato da Calcante o da Eleno che Troia non sarebbe crollata senza l’arco e le frecce di Ercole, conservata da Filottete nell’isola di Lemno. Odisseo e Diomede si recarono quindi a recuperare Filottete la cui ferita era guarita. Secondo altri la piaga venne guarita dai medici Macaone e Podalirio. Secondo Sofocle furono Neottolemo e Odisseo a cercare Filottete, secondo Proclo soltanto Diomede. Tornato sul campo di battaglia Filottete uccise, grazie alle sue frecce invincibili Paride stesso. Secondo Apollodoro, i fratelli di Paride Eleno e Deifobo ebbero una contesa su chi dei due avrebbe dovuto sposare Elena, ora vedova. Deifobo prevalse ed Eleno, furioso, abbandonò la città e si ritirò sul monte Ida. Calcante rivelò che Eleno era in grado di profetizzare le condizioni attraverso le quali conquistare Troia. Odisseo tese dunque un’imboscata contro Eleno e lo catturò. Spinto a forza, Eleno disse agli achei che avrebbero conquistato la città se avessero trovato le ossa di Pelope, mandato in guerra il figlio di Achille, Neottolemo, trafugato il Palladio dal tempio troiano di Atena. I greci recuperarono le ossa di Pelope, precisamente l’osso della spalla, che venne portato a Troia da Pisa e venne perduto a mare sulla via del ritorno, ritrovato poi da un pescatore venne riconosciuto come osso di Pelope dall’oracolo. Più tardi venne spedito Odisseo a Sciro, presso il re Licomede, per recuperare Neottolemo, che viveva lì presso il nonno materno. Odisseo gli diede le armi di suo padre. Secondo Apollodoro Euripilo, il figlio di Telefo, venne in sostegno dei troiani con un esercito formato da Hittiti o Misiaci. Uccise Macaone e Peneleo, uno delgi argonauti, ma venne ucciso a sua volta da Neottolemo. Travestito come un mendicante, Odisseo entrò all’interno della città ma venne riconosciuto da Elena. Elena si alleò con Odisseo. Col suo aiuto, il re d’Itaca e Diomede rubarono più tardi il Palladio.

Il cavallo di Troia


La città venne infine conquistata senza battaglia, con un inganno. Odisseo concepì un nuovo inganno, un gigantesco cavallo di legno, cavo, un animale sacro ai troiani. Venne costruito da Epeo, guidato a sua volta da Atena. Il legno venne recuperato dal boschetto sacro di Apollo. Vi fu scritto sopra: “I greci dedicano questa offerta di ringraziamento ad Atena per un buon ritorno” Apollodoro, Epitomi 5.15 Il cavallo, cavo, venne riempito da soldati. Apollodoro dice che entrarono nel cavallo 50 uomini, attribuendo allo scrittore della Piccola Iliade, la concezione secondo la quale entrarono nel cavallo ben 3000 uomini, ipotesi assurda secondo Simpson che evidenzia come nei pochi frammenti rimasti vi sia scritto soltanto “i migliori uomini”. Secondo Tzetzes ve ne erano 23. Quinto Smirneo ne nomina trenta ma dice che all’interno ve ne fossero ancora. Nella tradizione tarda il numero fu standardizzato a quaranta uomini. A capo di questi vi era Odisseo stesso. Il resto dell’esercito abbandonò il campo e si recò con tutta la flotta nell’isola di Tenedo. Quando i Troiani scoprirono che i Greci se ne erano andati, credendo che la guerra fosse finita, trascinarono gioiosamente il cavallo nella città. Proclo, seguendo la piccola Iliade, dice che i troiani tirarono giù una parte del muro per fare passare il cavallo. Prima di farlo entrare però i troiani discussero sul da farsi. Alcuni pensavano di gettarlo giù da una rupe, altri di bruciarlo, altri di dedicarlo ad Atena. Sia Cassandra che Laooconte consigliarono ai troiani di distruggere il cavallo. Cassandra avvertì infatti all’interno del cavallo un contingente nemico, Laooconte l’appoggiò. Ma mentre Cassandra non venne creduta a causa della maledizione di Apollo, dei serpenti, usciti dal mare, divorarono Laooconte e uno dei suoi figli, o entrambi (secondo Virgilio e Igino), o solamente lui (secondo Quinto Smirneo). I troiani decisero allora di portare in città il cavallo e passarono la notte fra i festeggiamenti. Sinone, una spia achea, diede segnale alla flotta, ferma a Tenedo, di partire. I soldati, usciti dal cavallo, uccisero le sentinelle. Alcuni pensano che il cavallo di Troia rappresenti in realtà un terremoto che indebolì le mura, permettendo ai greci di poterle sfondare. Studi archeologici sul settimo strato della città di Troia, quella dell’Iliade, e su alcuni manufatti rinvenuti dimostrano come davvero vi sia stato un terremoto. Alcuni pensano però che sia l’ottavo strato di Troia, quello riguardante la Troia omerica. Alcuni pensano che il cavallo sia il pezzo di un apparato di assedio, come dice Pausania: “Il lavoro di Epeo era un’invenzione per creare una spaccatura nel muro troiano. Questa tesi viene riconosciuta da chi non attribuisce sciocchezza assoluta ai frigi” Pausania 1.23.8 Pausania denomina frigi i troiani. Se seguiamo la tesi, secondo la quale all’interno del cavallo vi fossero 3000 uomini, ricordiamo che secondo Apollodoro quello era il numero di uomini dell’equipaggio di un “helepolis”, un’arma d’assedio di età ellenistica. Inoltre nota che spesso gli Assiri usarono armi da guerra chiamandole con nomi di animale. Robert Graves pensa che Troia fosse stata conquistata probabilmente con una torre di legno a ruote coperte con pelli di cavallo bagnate per proteggerle dalle frecce infuocate.

Il sacco di Troia

Gli achei entrarono così in città e uccisero gli abitanti addormentati. Ne seguì un grande massacro che continuò anche nella giornata seguente: “Il sangue scorreva in torrenti, faceva marcire il terreno, era quello dei troiani e dei suoi alleati stranieri morti. Gli uomini giacevano repressi nella amare morte, tutta la città da su e giù era bagnata del loro sangue” (Quinto Smirneo) Tutto non andò però come volevano gli achei, i troiani, alimentati dall’alcool e dalla disperazione lottarono ancora più ferocemente. Con la lotta al culmine, con la città in fiamme, i nemici si rivestirono delle armi e, con grande sorpresa dei greci, contrattaccarono nei combattimenti caotici in strada. Tutti cercavano di difendere la propria città, lanciando tegole o altri oggetti sulle teste dei nemici che passavano. Il destino dei troiani era però ormai segnato, ormai i nemici avevano fatto una breccia nelle mura, erano sicuri che avesse vinto. Neottolemo uccise Priamo, che aveva trovato rifugio nell’altare di Zeus del proprio palazzo. Menelao uccise Deifobo, marito di Elena dopo la morte di Paride, mentre questi dormiva e avrebbe anche ucciso Elena se non fosse rimasto abbagliato dalla sua bellezza. Gettò così la spada e la riportò sulla sua nave. Aiace Oileo stuprò Cassandra sull’altare di Atena mentre lei si aggrappava alla statua. A causa dell’empietà di Aiace, gli achei, esortati da Odisseo, volevano ucciderlo a sassate ma lui riuscì a fuggire nell’altare di Atena e a salvarsi. Lo stupro di Cassandra era un tema ritratto in diverse anfore greche. Antenore, che aveva dato ospitalità a Menelao e Odisseo quando loro chiesero il ritorno di Elena, e che li aveva difesi, fu risparmiato insieme alla sua famiglia. Enea, prese il padre sulle spalle e fuggì dalla città. Secondo Apollodoro venne risparmiato a causa della pietà dimostrata nei confronti dei nemici. I greci incendiarono poi la città e si divisero il bottino. Cassandra fu data ad Agamennone, Andromaca a Neottolemo, Ecuba ad Odisseo. Proclo dice che Ulisse gettò dalle mura della città il piccolo Astianatte, Apollodoro dice che fu invece Neottolemo o per sete di sangue, come dice Quinto Smirneo, o per continuare un ciclo di vendetta che i figli ereditano dai padri (Achille uccise Ettore, Neottolemo uccise Astianatte), tesi che viene accettata da Euripide. Neottolemo sacrificò poi la giovane Polissena sulla tomba di Achille come richiesto dal sua fantasma, o perché voleva il bottino di guerra che gli spettava anche da morto o perché lei lo aveva tradito. Etra, la madre di Teseo, era una delle schiave di Elena e venne liberata da Demofonte e Acamante.

Il ritorno

Gli dei erano adirati per la distruzione dei loro templi e i sacrileghi commessi dagli achei. Decisero quindi che molti di loro non sarebbero dovuti tornare a casa salvi. Un temporale li travolse nelle vicinanze di Tenedo. Nauplio, il padre di Palamede, desideroso di vendetta, mise delle luci false in cima al capo Capareo, causando il naufragio di molte navi. Nestore che ha dimostrato la migliore condotta sotto le mura di Troia e non prese parte al saccheggio, fu l’unico eroe ad avere un ritorno veloce e indolore. Quelli del suo esercito giunsero a casa sani e salvi. In seguito Nestore conquistò con i suoi uomini il Metaponto.

Aiace Oileo che aveva più di ogni altro causato l’ira degli dei, non tornò mai più in patria. La sua nave fu ridotta a pezzi da Atena con un fulmine di Zeus. L’equipaggio riuscì a sbarcare su uno scoglio ma Aiace, colmo di prepotenza, gridò di essersi salvato perché gli dei non avrebbero potuto mai ucciderlo. Dopo aver detto queste parole, Poseidone lo fece cadere dallo scoglio con un colpo di tridente facendolo morire annegato. Venne seppellito da Teti. Teucro, figlio di Telamone e fratello di Aiace il Grande, fu mandato in esilio dal padre per non aver aiutato il fratello a salvarsi dal suicidio. Non gli fu infatti permesso di sbarcare a Salamina e fu costretto a rimanere nella terra vicina di Peirea. Fu comunque assolto dalla responsabilità della morte del fratello ma condannato per non aver riportato in patria il corpo o le armi dell’eroe. Si recò coi propri uomini a Cipro dove fondò una città, chiamandola Salamina, in onore della terra natia. Gli ateniesi crearono in seguito un mito politico secondo il quale il figlio di Teucro affidò il dominio della città ai discendenti di Teseo, dando dunque il primato agli ateniesi. Neottolemo invece, su consiglio di Eleno, divenuto suo schiavo, viaggiò sulla terraferma portando con sé i propri uomini e il proprio bottino. Incontrò Odisseo e insieme a lui seppellì Fenice, maestro di Achille, nella terra dei Ciconi. In seguito conquistarono insieme le terre dell’Epiro. Da Andromaca ebbe un figlio, Molosso, che avrebbe poi ereditato il suo regno. I re dell’Epiro si dicevano infatti discendenti di Achille come fece poi in seguito Alessandro il Grande, la cui madre era di quei luoghi. Il grande condottiero macedone diceva persino di discendere da Ercole. Eleno fondò in Epiro una città, Neottolemo gli diede in moglie la madre Deidamia. Dopo la morte di Peleo, Neottolemo divenne poi re di Ftia. Ebbe però una contesa con Oreste, figlio di Agamennone, sulla figlia di Menelao, Ermione, e venne ucciso a Delfi dove fu seppellito. Infine, dopo la morte di Neottolemo, il regno dell’Epiro passò ad Eleno che sposò Andromaca e accolse i rifugiati troiani, fra cui il più importante da ricordare è Enea. Diomede giunse, dopo un temporale, in terra di Licia dove sarebbe stato sacrificato ad Ares dal re Lico se la figlia di quest’ultimo Calliroe, non l’avesse aiutato a fuggire. Sbarcò poi accidentalmente in Attica. Gli ateniesi, pensando fosse un nemico, lo attaccarono. Molti furono uccisi e Demofonte riuscì a derubarlo del Palladio. Tornò finalmente ad Argo dove trovò la moglie Egialea nel bel pieno di un adulterio. Disgustato, andò in Etolia e in seguito nell’Italia Meridionale dove fondò diverse città. Filottete, a causa di una sedizione, fu cacciato dalla propria terra e costretto a recarsi in Italia. Dove fondò diverse città fra cui Crotone. Combatté in Lucania, dove creò un santuario ad Apollo Vagabondo, cui sacrificò il proprio arco. Idomeneo, secondo Omero, tornò a Creta sano e salvo. Vi è però un’altra tradizione molto più famosa. Dopo la guerra il re cretese venne colpito da un temporale. Promise a Poseidone di sacrificare il primo essere vivente che avesse visto dopo essere sbarcato se il dio del mare l’avesse salvato insieme al suo equipaggio. Fu salvato ma il primo essere vivente che vide fu suo figlio che, a malincuore, dovette sacrificare. Gli dei, adirati per un atto così spregevole, mandarono contro Creta un’epidemia. Fu mandato dunque in esilio in Calabria e poi in Asia minore, dove morì. Fra i re minori sopravissuti ben pochi giunsero tranquilli nelle proprie terre.

Il casato di Atreo

Secondo l’Odissea, Menelao e la sua flotta giunsero prima a Creta e poi in Egitto dove non poterono ripartire a causa dell’assenza di venti. Solamente cinque delle sue navi sopravvissero. Decise dunque di recarsi da Proteo, divinità marina, per sapere a quale dio sacrificare per avere un buon viaggio di ritorno. Secondo una tradizione post-omerica, non accetta dal poeta dell’Iliade, Elena era in realtà una nuvola e, non appena Menelao giunse in Egitto, scomparve. La ritrovò lì, moglie ancora fedele al marito. Proteo rivelò il modo di poter tornare in patria e gli profetizzò che dopo la morte sarebbe stato premiato con la permanenza nei campi elisi. Menelao ritornò a Sparta con Elena otto anni dopo la fine della guerra di Troia. Agamennone ritornò a Micene portando con sé Cassandra come bottino di guerra. Sua moglie Clitemnestra si era unita ad Egisto, cugino di Agamennone, che aveva conquistato la città durante la sua assenza. Probabilmente ancora adirata per il sacrificio di Ifigenia, Clitemnestra progettò con l’amante un modo per togliere di mezzo un uomo ormai troppo scomodo. Cassandra presagì il futuro assassinio e avvertì il padrone che però non volle ascoltarla. Venne così ucciso mentre faceva il bagno o, secondo un’altra versione, in una festa. Cassandra venne uccisa con lui. Oreste, che era stato cacciato dal regno ancora bambino, tornò in patria adolescente e, insieme alla sorella Elettra, cospirò per vendicare la morte del padre. Clitemnestra ed Egisto vennero uccisi, Oreste divenne nuovo re di Micene.

L'Odissea:

I dieci anni che Ulisse passò vagabondando prima di poter tornare nell’isola di Itaca sono l’argomento dell’Odissea, il secondo grande poema di Omero. Odisseo e i suoi uomini furono spediti in terre lontane e sconosciute per i greci. Lì Odisseo fu protagonista di diverse imprese, come il celebre incontro col ciclope Polifemo. Ebbe perfino un’udienza nell’aldilà col celebre indovino Tiresia. Sull’isola del Sole, la Trinacria, gli uomini di Odisseo mangiarono i buoi sacri ad Helios. Questo sacrilegio costò la vita ai compagni di Odisseo e la distruzione completa della flotta itachese. Odisseo, l’unico a non cibarsi dei buoi del sole, fu l’unico ad avere salva la vita. A causa di una tempesta naufragò nell’isola di Ogigia dove visse insieme alla ninfa Calipso. Dopo sette anni gli dei decisero di rimandarlo a casa; su una piccola zattera riuscì a raggiungere la terra di Scheria, popolata dai Feaci, che lo aiutarono a tornare a Itaca. Una volta giunto a Itaca, Odisseo cercò di riprendere possesso della propria casa, vestito da mendicante. Venne riconosciuto dal fedele cane Argo che morì subito dopo. Lì scoprì che la moglie Penelope, era rimasta fedele a lui durante i vent’anni di assenza del marito, nonostante il palazzo fosse pieno di pretendenti che, in quel periodo, stavano scialacquando tutti i beni del re. Con l’aiuto di Telemaco, Atena, e il porcaro Eumeo, uccise tutti i pretendenti, lasciando soltanto in vita Medone, l’araldo dei Proci, benvisto da Penelope, sempre gentile, e il cantore Femio che venne risparmiato per intercessione di Telemaco. Penelope però non lo accolse all’istante, prima volle metterlo alla prova e, non appena lo riconobbe, lo perdonò per la sua assenza. Il giorno dopo i parenti dei pretendenti uccisi vennero da Ulisse per vendicarsi di lui ma Atena riuscì a placare questo massacro.

La Telegonia

La Telegonia riprende la storia dell’Odissea dal momento in cui i pretendenti vengono sepolti fino alla morte di Odisseo. È anche stavolta Proclo a fornirci la trama del poema. Due anni dopo il ritorno di Odisseo, Telegono figlio dell’eroe e della maga Circe si recò a Itaca e la depredò. Odisseo morì nel vano tentativo di difendere la propria isola, ucciso proprio dal figlio non riconosciuto. Non appena Telegono scoprì di aver ucciso il padre, prese il suo corpo e lo portò alla madre, in compagnia di Telemaco e Penelope. Circe decise di rendere il figlio e gli ospiti immortali. Dopodiché Telemaco sposò Circe e Penelope Telegono.

l'Eneide:

Enea riuscì a fuggire da Troia in fiamme, salvando il padre Anchise, il figlio Ascanio, il trombettiere Miseno, il medico Iapige, le statue degli antenati. Sua moglie Creusa morì invece durante il sacco della città. Loro abbandonarono dunque Troia con una piccola flotta, cercando una nuova terra dove poter vivere. Si recarono nei paesi vicini, tutti inospitali. Infine la Sibilla gli predisse di recarsi nella terra dei suoi antenati. Tentarono di stabilirsi prima a Creta, da dove Dardano, primo re di Troia, era partito ma trovarono la terribile pestilenza mandata lì contro Idomeneo. Furono accolti nella colonia di Eleno e Andromaca. Dopo sette anni giunsero a Cartagine, dove Enea ebbe una relazione con la regina Didone. Gli dei decisero però che il viaggio doveva continuare, Didone per la disperazione si uccise. Enea e i suoi uomini giunsero infine in Italia. Lì la Sibilla Cumana lo fece scendere nell’Ade, mostrando i grandi uomini che sarebbero discesi da lui. Lui chiese l’appoggio del re del luogo, Latino, e la mano della figlia di quest’ultimo Lavinia. Tutto questo provocò una guerra con le varie tribù locali che si concluse col duello fra Enea e Turno, legittimo pretendente alla mano di Lavinia. Enea vinse il duello e insieme al figlio Ascanio fondò la città di Albalonga. Da Ascanio e Silvio, figlio avuto con Lavinia, discesero Romolo e Remo, mitici fondatori di Roma. I dettagli del viaggio di Enea, il suo amore per Didone, lo scontro con turno sono l’argomento dell’opera di Virgilio, l’Eneide. Ricordiamo però che Cartagine venne fondata molto dopo la guerra di Troia e che Enea non trovò di certo la città meravigliosa del mito ma più che altro alcuni piccoli villaggi.

Base storica

La storicità della guerra di Troia è ancora oggi oggetto di discussione. Alcuni pensano che le storie di Omero siano in realtà l’unione di diversi conflitti accesisi tra greci e troiani nel periodo miceneo. In questa unione lui inserisce inoltre le figure divine e diverse metafore. La maggior parte dei greci pensava che la guerra di Troia fosse un fatto realmente accaduto, altri pensavano che Omero avesse ingigantito a scopi poetici un avvenimento non famoso come quello descritto. Tucidide, famoso per il suo spirito critico, crede che sia un fatto realmente accaduto ma dubita che 1186 navi possano davvero essere giunte a Troia. Euripide cambiò i connotati di diversi miti, inclusi quelli della guerra di Troia. Nel 1870 gli studiosi furono d’accordo sul fatto che la guerra di Troia non avvenne ma era soltanto frutto di una mente ingegnosa. Heinrich Schliemann cambiò però le carte in tavola, scoprendo, con stupore di tutti, la città di Troia in Asia Minore e quella di Micene in Grecia. Oggi molti studiosi sono d’accordo sul fatto che la Guerra di Troia sia un fatto realmente accaduto, un conflitto fra greci e troiani, dubitano però sul fatto che gli scritti di Omero narrino fedelmente la vicenda. Nel ventesimo secolo alcuni studiosi hanno tentato di proporre delle conclusioni basandosi su testi hittiti e dell’antico egitto, contemporanei ai fatti della guerra di Troia. Mentre loro danno una descrizione generale della situazione politica nella regione al tempo, le loro informazioni su questo particolare conflitto sono limitate. Gli archivi Hittiti, come le lettere di Tawagalawa, parlano di un regno di Ahhiyawa (Achea, o Grecia) che giace oltre il mare (identificabile con l’Egeo) e controlla Milliwanda, nome con cui è riconoscibile Mileto. Inoltre in questa e in altre lettere viene menzionata la cosiddetta confederazione di Assuwa, formata da 22 città, di cui fa parte anche Wilusa, la Ilio (o Troia) omerica. Un’altra lettera, quella di Milawata, spiega che questa città si trova nella zona nord della confederazione di Assuwa, oltre il fiume Seha. L’identificazione di Wilusa con Troia fu controversa negli anni novanta ma guadagnò l’accettazione della maggioranza. Nel trattato di Alaksandu (1280 a.C.) il re della città è chiamato Alaksandu, deve essere notato che il nome che Omero ci dà di Paride, il figlio di Priamo (ma anche altri testi) è Alessandro. La lettera di Tawagalawa, indirizzata al re Ahhiyawa dice: “Ora noi siamo venuti ad un accordo su Wilusa, sulla quale noi andammo a guerreggiare” Precedentemente, sotto il dominio Hittita, la confederazione di Assuwa disertò dopo la battaglia di Kades fra Egizi e Hittiti (1274 a.C.). Nel 1230 a.C. il re hittita Tudhaliya IV (1240-1210 a.C.) partecipò a una campagna contro questa federazione. Sotto il dominio di Arnuwanda III (1210-1205 a.C.) gli Hittiti furono costretti ad abbandonare le loro terre nella costa dell’Egeo. È probabile dunque che la guerra contro Troia sia stato un conflitto fra il re di Ahhiyawa e la confederazione di Assuwa. Questa visione è stata sostenuta perché l’intera guerra include inoltre lo sbarco in Misia (e il ferimento di Telefo), le campagne di Achille nel nord dell’Egeo, le campagne in Tracia e Frigia di Aiace Telamone. La maggior parte di queste regioni facevano parte della confederazione di Assuma. Si nota inoltre che c’è una grande somiglianza fra i nomi dei cosiddetti Popoli del Mare che in quel tempo facevano scorrerie in Egitto, come sono elencati da Ramses III e Merneptah, e i nomi degli alleati di Troia. Ancora vi è dibattito sull’esistenza reale di quei fuochi che passando per tutta la Grecia avvertivano agli achei rimasti in patria l’esito della guerra o se questa sia soltanto un’invenzione di Eschilo. Mentre c’è chi attesta che ci fosse davvero questa rete di comunicazione al tempo della Grecia antica e del periodo Bizantino, non sappiamo se vi era ai tempi della Guerra di Troia. Eschilo è l’unica fonte che lo menziona. Il fatto poi che la maggior parte degli eroi achei, tornati dalla guerra, abbiano deciso di non tornare in patria ma di fondare colonie in altri luoghi viene spiegato da Tucidide col fatto che quelle città, senza un comandante, erano in declino a causa della loro assenza. Oggi l’interpretazione più seguita dagli studiosi è che i comandanti achei furono cacciati dalle loro terre per dei tumulti alla fine dell’epoca micenea e preferirono richiamare i discendenti dall’esilio della guerra di Troia.

La guerra
l’armatura Anche se Micene, grande potenza marina, scagliò contro Troia un esercito di 1200 navi e, sebbene Paride avesse costruito una flotta prima di partire verso Sparta, nell’Iliade non vi è nessuna battaglia marina. Perecleo, il costruttore navale di Troia combatte a piedi. Gli eroi dell’Iliade sono abbigliati accuratamente e rivestiti di armature splendide e ben disegnate. Loro percorrono il campo di battaglia sopra carri da guerra, da lassù scagliavano una lancia sulla formazione nemica, scendevano, tiravano l’altra lancia, dopodiché prendevano parte al combattimento corpo a corpo. Aiace Telamonio portava con sé un gigantesco scudo a forma di torre che non solo proteggeva lui ma anche il fratello Teucro: “Nono giunse Teucro tendendo l’arco ricurvo, e si pose dietro lo scudo di Aiace di Telamone; quando Aiace spostava lo scudo, l’eroe prendeva la mira e scagliava un dardo nel folto: e se colpiva un guerriero e questo cadeva esalando la vita, allora- come un fanciullo che dietro alla madre si cela- tornava da Aiace che lo copriva dietro lo scudo lucente) (Omero, Iliade canto VIII) Lo scudo di Aiace era pesante e difficile da portare. In questo modo era più facile difendersi che attaccare. Suo cugino Achille invece portava con sé, insieme alla celebre lancia guaritrice e feritrice allo stesso tempo, uno scudo largo e rotondo e maneggevole, che portò diversi successi contro i troiani. Lo scudo dei soldati semplice era invece rotondo o ottagonale. A differenza degli eroi loro difficilmente avevano una corazza e contavano soltanto sullo scudo per difendersi. Omero descrive in alcuni momenti una formazione da battaglia molto simile alla falange, sebbene questa appaia solo 7 secolo a.C. Ma era davvero in questa maniera che fu combattuta la guerra di Troia? La maggior parte degli studiosi crede di no. Il carro era il mezzo principale in questa guerra, come nella battaglia di Kadesh. Comunque si evidenzia nei dipinti del palazzo di Pilo che i greci combattessero sul carro da guerra in coppia, l’auriga e il combattente, con una lancia lunga in mano, a differenza dei carri a tre hittiti, con due guerrieri con lance corte, o quelli egiziani, con arco e frecce. Omero è consapevole di questo e nell’Iliade è evidenziato l’uso principale del carro in guerra.
Nestore dice nel quarto libro dell’Iliade: “Nessuno- fidando nella sua forza e nei suoi cavalli- osi affrontare i troiani da solo, davanti agli altri, e neppure si tiri indietro; sareste più deboli; ma se uno di voi dal suo carro può raggiungere un carro nemico, tenda la sua lancia, sarà molto meglio; così i nostri padri distruggevano mura e città, con questo pensiero, con questo ardore nel petto) (Nestore, Iliade di Omero canto IV) Per Omero questo è però un modo di combattere antiquato, usato principalmente da vecchi combattenti o da uomini di un piccolo regno, come Pilo. Nestore descrive una battaglia fra Pilo ed Elis, il cui mezzo principale era il carro da guerra. In quel periodo era giovane, ma al tempo della guerra di Troia Nestore è molto anziano. Achille usa invece il suo carro principalmente per avanzare dietro le file nemiche e colpire da dietro, provocando così un terribile massacro. Karykas crede che la lotta sui carri da guerra sia stata abbandonata dai Greci un po’ prima della guerra di Troia e che quindi Omero descriva i fatti come sono realmente accaduti. Fra i seguaci di questa teoria c’è chi crede che Omero spieghi i fatti realisticamente perché egli stesso era presente ai fatti, diversi scrittori, antichi e moderni, hanno svolto anche incarichi bellici, ricordiamo ad esempio Archiloco, poeta della lirica antica. Omero descrive la guerra come lui stesso l’ha vissuta.

La guerra di Troia nell’arte e nella letteratura
Nessuno ha ancora tentato di fare una lista di tutte le opere d’arte riguardanti la storia della guerra di troia perché innumerevoli. Un elenco che menzioni tutte queste opere sarebbe molto più lungo del sommario degli eventi stessi del conflitto. Possiamo ricordare quindi oltre ai testi di Omero, dei tragediografi e del ciclo epico, il “Troilo e Criseide” di Geoffrey Chaucer, il “Troilo e Cressida” di William Shakespeare, “Ifigenia” e “Polissena” di Samuel Coster, “Palamede” di “Joost van den Vondel” e le “Troiane” di “Hector Berlioz”. Ricordiamo infine il fumetto, ancora in lavorazione, di Eric Shanower, “l’Età del Bronzo”. La guerra è poi stata rappresentata in molti libri, film e serie televisive, basti ricordare il più recente “Troy” di Petersen che, sebbene non segua la storia tradizionale del mito, mostra come le antiche vicende di Achille o Ettore riescano ancora ad affascinare anche noi moderni. [1]

Ipotesi alternativa

Secondo alcuni studiosi la guerra di Troia non si sarebbe combattuta in Asia minore ma in Finlandia. Questi studiosi infatti analizzando l'Iliade e l'Odissea hanno trovato dei particolari strani che fanno pensare che i due poemi siano ambientati non nel Mare Mediterraneo ma nel Mare del Nord e nel Mar Baltico.
Per esempio nell'Iliade si combatte anche di notte e il sole tramonta molto tardi e questo è un particolare che fa pensare fosse ambientata in Scandinavia. Inoltre dalle descrizioni dei guerrieri essi sembrano più nordici che greci perché hanno i capelli biondi e occhi azzurri. Inoltre secondo l'Illiade l'Ellesponto è un mare vasto ma in realtà tale non è. Questi studiosi hanno scoperto che c'è un altro Ellesponto che bagna la Finlandia. Inoltre in Finlandia hanno scoperto che esiste una città che si chiama Toija che un nome simile a Troia.
Secondo questi studiosi gli achei provenivano dalla Danimarca e una volta insediatasi in Grecia scrissero i libri sulla Guerra di Troia che avevano combattuto secoli prima in Finlandia però cambiando i luoghi.

mercoledì 2 gennaio 2008

Le dodici fatiche di Eracle

LE DODICI FATICHE
Inizialmente non era chiaro se Eracle dovesse compiere dodici fatiche o dieci fatiche in dieci anni di tempo. Dodici è il numero dei mesi e dei segni dello Zodiaco, numero importante e forte che sostituì, forse, completamente il numero dieci .L’avventura con Minosse e quella del cinto di Ippolita furono aggiunte più tardi Tra le fatiche, due si prefiggono lo scopo della lotta contro la morte ,lotta in cui Eracle avrebbe dovuto morire.
I particolari delle Dodici Fatiche furono raccontati e abbelliti sin dai tempi antichi da tanti poeti noti e ignoti. Esistono, per questo, talvolta due o tre versioni relative a fatti e momenti dei protagonisti di queste storie.

PRIMA FATICA: IL LEONE DI NEMEA
Il leone abitava nella vallata di Nemea, ricca di caverne ospitali, e terrorizzava tutta la zona. Nessun’arma lo feriva e quindi esso simboleggiava la Morte. Gli artisti antichi collocavano sulle tombe leoni che ricordano la capacità rappresentativa della Morte. Come dio cacciatore, Eracle combatteva contro la Morte e la testa dell’animale sulle sue spalle si trasformava in promessa di salvezza.
Per ordine di Euristeo, l’eroe si mise in viaggio per uccidere il terribile leone. Fu ospite del contadino Molorco, a cui la belva aveva ucciso il figlio, che gli diede consigli preziosi. Dopo un attacco inutile con frecce, spada e clava, Eracle penetrò nella tana e in un tremendo corpo a corpo soffocò la bestia. Il giorno dopo partì per Micene, residenza di Euristeo. Il re si spaventò alla vista della preda e decise che, da quel giorno, ogni altra preda sarebbe rimasta fuori dalla porta. Zeus, per onorare il figlio, assunse in cielo l’animale come ricordo, divenne il Leone dello Zodiaco.

SECONDA FATICA: L’IDRA DI LERNA
A guardi dell’ingresso del regno dei morti, nelle acque profonde di Lerna che confinavano con quelle di Agro, stava il serpente gigantesco che Eracle doveva uccidere. Faceva stragi di greggi e colture e uccideva col fiato uomini. Aveva il corpo di cane e nove teste di serpente tra cui una immortale. Era inattaccabile e l’inutilità della lotta, eccetto per Eracle, era rappresentata dal fatto che, al posto di ogni testa tagliata ne ricrescevano due.Eracle uccise dapprima un granchio gigantesco, custode del luogo, poi, nella lotta, fu aiutato dal nipote tebano Iolao, che bruciò le ferite con tizzoni ardenti per evitare che ricrescessero le teste. Alla fine riuscì a recidere la testa immortale.Il granchio gigantesco andò in cielo come costellazione vicino al Leone quale segno del Cancro.

TERZA FATICA: LA CERVA DI CERINEA
Era un animale dalle corna d’oro, gli zoccoli di bronzo: era un essere divino. L’aspetto pericoloso e difficile non era determinato dalla sua particolare aggressività, ma piuttosto dal fatto che, continuando, obbligava l’inseguitore a spingere in luoghi sconosciuti e ostili, con sempre più vivo il desiderio della catture. Eracle la inseguì per un anno non volendo né ucciderla nè ferirla. Presso il fiume Ladone, al confine del Giardino delle Esperidi, iniziava l’aldilà. L’eroe lo catturò, là ne lego i piedi e tornò a Micene. Sulla strada del ritorno dovette scusarsi per la cattura con Apollo e Artemide, cui era cara la cerva, dicendo di aver agito per ordine di Euristeo.

QUARTA FATICA: IL CINGHIALE DI ERIMANTO
Eracle doveva catturarlo e portarlo vivo a Micene. Questo cinghiale si aggirava nella parte occidentale dell’Arcadia e distruggeva i campi.
In questa regione, abitata dai Centauri, l’Eroe fu ospite di Folo, che gli offrì dell’arrosto e del vino preso dal pithos, dono di Dionisio. I fiumi dell’alcol inebriarono i partecipanti al banchetto che si trasformò in lite e lotta. Eracle, per sedare il tumulto, scagliò freccie avvelenate, poiché intinte nel sangue dell’Idra. Morirono Folo e Chirone, capi dei Centauri. Rattristato l’Eroe riprese la strada e si diresse sul Monte Erimanto, dove catturò la belva. Se la mise sulle spalle e la portò dal re degli Argivi. Euristeo, alla vista dell’animale, si nascose in un pithos di bronzo, impaurito come davanti alla Morte.

QUINTA FATICA: GLI UCCELLI DEL LAGO STINFALO
Presso la palude di Stinfalo, circondata da numerosi boschi, abitavano uccelli tanto numerosi quanto le anime dei Morti presso il fiume Acheronte nel regno degli Inferi. Gli uccelli, quindi, richiamavano alla mente il mondo dell’aldilà.
Il compito di Eracle era quello di allontanare gli uccelli dal lago di Stinfalo. Pallade Atena gli fornì delle magiche nacchere di bronzo con le quali Eracle fece un tal schiamazzo da far impazzire gli animali che si allontanarono per sempre della regione.

SESTA FATICA: LE STALLE DI AUGIA
Augia, figlio di Helios era re sulla costa occidentale del Peloponneso e possedeva il più ricco allevamento del mondo. Il suo regno era una signoria del Sole deponente, il mondo degli Inferi . Euristeo ordinò ad Eracle di recarsi là e di liberare le stalle di tutto il paese dal letame che appestava l’aria del Peloponneso. Questo lavoro doveva essere compiuto in un solo giorno.
Eracle propose ad Augia questo patto: in cambio di un decimo degli armenti , egli avrebbe rigovernato le stalle: se non fosse riuscito, sarebbe rimasto nel paese come schiavo del re
LE ALTRE SEI FATICHE
L’ordine nel quale le dodici fatiche venivano narrate non era sempre esattamente lo stesso.
I narratori sembrano tutti abbastanza concordi per le prime sei fatiche; più incerto l’ordine delle altre. A partire dalla settima, Euristeo aveva imposto ad Eracle viaggi sempre più lunghi verso lontani paesi, si raccontavano numerose storie sulle avventure occorsegli, anche a prescindere da quanto gli era stato ordinato.

SETTIMA FATICA: IL TORO DI MINOSSE
Se è vero che nei tempi primitivi si parlava di dieci fatiche di Eracle, questa e la nona furono aggiunte più tardi. Euristeo ordinò all’Eroe di catturare un toro furioso, flagello degli abitanti di Creta. Il toro apparteneva a Minosse, che l’aveva ricevuto in dono da Poseidone per un sacrificio votivo.
Affascinato dalla bellezza dell’animale, Minosse ne aveva sacrificato un altro. L’ira del dio del mare si era allora indirizzato sulla regina Pasifae, cui aveva infuso una morbosa passione per il toro e sul toro stesso che, reso folle, aveva iniziato a devastare Creta richiedendo l’intervento liberatore di Eracle. Questi lottò duramente, con dolore e notevole sforzo, riuscì a catturarlo e a condurlo a Micene. In onore di Era, Euristeo, lo lasciò libero. Il toro provocò lutti e danni nel Peloponneso finché a Maratona fu ucciso da Teseo.

OTTAVA FATICA: LE CAVALLE DEL RE DIOMEDE
Anche in questa storia è evidente la relazione con la morte.
Sui vasi sepolcrali antichi i cavalli sono sempre attaccati al carro funebre degli eroi e, nelle storie di narratori più tardi essi vengono rappresentati mentre lacerano selvaggiamente gli eroi. Sono sempre i cavalli della morte e in questo senso deve intendersi la storia delle cavalle che mangino gli uomini.
Eracle si recò in Tracia dal crudele Diomede che nutriva con la carne di stranieri di passaggio le sue cavalle selvagge legate con catene di ferro alla mangiatoia di bronzo. Per ripagare Diomede delle sue malefatte, Eracle lo diede in pasto alle cavalle che, placata la fame, furono addomesticate dall’eroe che le catturò e le portò con sé a Micene.

NONA FATICA: IL CINTO DI IPPOLITA
Admeta, figlia di Euristeo desiderava il cinto di Ippolita, regina delle Amazzoni. Per questo Eracle dovette partire per il Ponto, in Asia minore, dove vivevano le Amazzoni, popolo di donne guerriere che si amputavano la mammella destra ( a-mazos) per non essere impedite nel tiro dell’arco e nel lancio delle frecce. Le Amazzoni ammettevano tra loro gli uomini solo per i lavori domestici e per la riproduzione.Eracle si accinse a questa impresa con un gruppo di eroi tra cui Teseo. Attratta dal bel volto e dal fisico dell’eroe, Ippolita le diede il cinto d’ oro, dono del padre Ares, quale pegno d’amore. Era, però, travestita da Amazzone, diffuse la notizia che Eracle voleva rapire Ippolita e incitò le donne guerriere alla lotta. Nel furioso combattimento che seguì, l’Eroe uccise la regina.Dopo un avventuroso viaggio di ritorno, Eracle arrivò a Micene e qui donò il cinto ad Admeta che lo conservò nel tempio di Era di cui era sacerdotessa.

DECIMA FATICA: I BUOI DI GERIONE
Gerione, il più forte tra i mortali, dimorava in Erizia. Era un mostro alato con tre teste, tre corpi e sei braccia. Possedeva anche ali per scagliarsi sulle vittime. Era detto "l’urlatore" poiché il gridare faceva parte del combattere. Teatro della lotta era l’estremo occidente dove Eracle eresse due colonne una di fronte all’altra, una in Europa nel monte Calpe, e la seconda in Africa sul monte Abila. Eracle era giunto là con l’aiuto del dio Helios che, ogni notte, varcava l’Oceano su una coppa d’oro.
Sulla costa Africana, l’Eroe sostenne numerosi e difficili combattimenti poi affrontò Gerione per poter catturare i suoi bellissimi buoi dal pelo fulvo e vinse. Ci sono varie narrazioni sul suo ritorno ad egli città che toccava i genealogisti erano pronti a riferire le nozze di Eracle affinché le famiglie regnanti potessero derivare da lui la loro discendenza.Venne a lotta con i Liguri, attraversò il paese degli Etruschi dove uccise Caco che gli aveva rubato dei bovini. Sul luogo venne innalzata un’Ara massima, dove il suo culto fu di lunga durata. Finalmente, dopo tante avventure, Eracle consegnò a Euristeo i buoi di Gerione che vennero sacrificati ad Era.

UNDICESIMA FATICA: I POMI D’ORO DELLE ESPERIDI.
Le Esperidi, erano figlie di Giove e dimoravano nella regione del monte Atlante, dove terminava l’itinerario quotidiano del dio Helios.
Custodivano pomi magici di un melo regalato ad Era, in occasione delle nozze con Zeus, da parte della madre Terra.
Il serpente Ladone, con molte teste e molte voci, non dormiva mai e impediva a chiunque di avvicinarsi. Eracle attaccò il serpente e lo uccise con le frecce avvelenate nel sangue dell’Idra di Lerna. Tornò a Micene con le mele d’oro, ma Euristeo non volle accettarle, per non attirare l’ira di Era alla quale furono restituite.

DODICESIMA FATICA: IL CANE DI ADES
Euristeo non poteva trovare per Eracle un’impresa più ardua, quasi impossibile: catturare, negli Inferi, il cane di Ades e portarlo a Micene. Ciò comportava la violazione del regno sacro degli Inferi: neppure un eroe poteva osare tanto, un eroe comune. C’era un’eccezione: l’Eroe divino, il vittorioso combattente contro la Morte. Per poter accedere agli Inferi, Eracle si purificò e, successivamente, venne iniziato ai Misteri.
Dopo la purificazione e l’iniziazione, Eracle si diresse verso la foce del Tenaro, in Laconia, dove una caverna immetteva nel regno dei Morti. Caronte lo traghetto al di là del fiume Stige e, per questo fu punito dal re degli Inferi. Eracle giunse dal re che gli permise di catturare Cerbero, vestito solo della corazza e della pelle del leone. Con forza sovrumana l’Eoe cercò di soffocare il cane infernale alla gola da cui uscivano tre teste ricoperte di serpenti. Riuscì a far arrendere l’animale alla sua forza e lo trascinò fino a Micene. Davanti al mostro incatenato, Euristeo, da codardo qual era, andò a nascondersi in un pithos sotterraneo.